Facciamo un piccolo esercizio di fanta-scienza e proviamo a intuire il rapporto, finora non riconosciuto, fra i pennuti abitanti dei boschi e boschi stessi…
L’ipotesi: il canto degli uccelli come forma di nutrimento per le piante
Potrebbe prendere corpo un’ipotesi tanto suggestiva quanto rivoluzionaria: il canto degli uccelli, assieme ad altre frequenze naturali, come forma di nutrimento di boschi e foreste. Un nutrimento fatto di suoni e armoniche non sempre udibili al nostro orecchio. Un “cibo” sonoro che esplica la propria azione attraverso il fenomeno della risonanza (facendo “vibrare” alcune parti delle piante stesse), per cavitazione (generando “bolle” che hanno effetti fisici sui fluidi) o inducendo, in qualche modo, un’attivazione cellulare. Potrebbe esistere – è la domanda – un bosco con uccellini afoni?
Alcuni studi sul rapporto fra suoni e piante
Non ancora ecplicitata, quest’ipotesi sembra lì-lì per uscire e fonda le sue radici (è proprio il caso di dirlo) in una serie di ricerche che partono dal lavoro di Weinberger [si veda per esempio qui, qui, qui, qui, e qui] che ha dato il LA, ufficialmente, a una serie di studi che nel 2009 sfociano nella dissertazione di Elizabeth Derryberry sul rapporto fra modifiche nel canto degli uccelli (la Derryberry confronta il canto degli uccelli registrato negli anni Settanta dall’ornitologo Luis Baptista, con le “melodie” degli anni Duemila) e cambiamenti nella vegetazione.
A dirla tutta la prima esperienza degna di nota è databile fra fine Ottocento e inizio Novecento, quando il geniale Jagadish Chandra Bose inventò il “crescografo”, che grazie alla capacità di ingrandire 10.000.000 di volte i tessuti vegetali mostrava “live” la crescita dei tessuti vegetali e anche la reazione a stimoli sonori.
L’influenza del suono sulla crescita delle piante è ormai cosa assodata e si è indagato anche sull’influenza di suoni particolari come i canti rituali. Fra le varie conclusioni il fatto che l’effetto del suono si esplica soprattutto nelle primissime fasi di vita della piante, constatazione che posso ribadire personalmente, in base alle esperienze che ho condotto sugli effetti di campane tibetane e voce sulla crescita delle piante.
Joel Sternheimer è probabilmente il nome più noto di questa particolare branca di studi, con il suo metodo basato su scale musicali che stimolano o inibiscono la biosintesi di proteine nelle piante. I suoni – in pratica – influenzano il DNA e con la musica giusta è possibile determinare la sintesi proteica. Altro caso interessante è quello del “Paradiso di Frassina” azienda che ha brevettato un sistema per sottoporre le viti a un trattamento sonoro che migliora salute delle piante e bontà del vino.
I suoni della natura guidano le “azioni” delle piante?
Torniamo però all’ipotesi, anzi, alla suggestione iniziale: e se il cinguettio degli uccelli fosse uno dei nutrimenti delle piante? Beh, nel 2014 H. M. Appel e R. B. Cocroft hanno scoperto che l’Arabidopsis thaliana è in grado di individuare fra tutti i suoni dell’ambiente, quello prodotto da un bruco, un predatore, e dare avvio alla produzione di olii essenziali tossici. Se dobbiamo seguire l’intuito (e la logica) possiamo tranquillamente procedere per passi e affermare che quasi sicuramente il canto degli uccelli è uno dei nutrimenti di quell’ecosistema complesso e affascinante che sono i boschi. La scienza dirà se si tratta di una fantasia, intanto però aprire la mente è già un grande passo per poter comprendere fenomeni così difficili da cogliere con un approccio analitico.
Oltre la biochimica?
Siamo un po’ inquinati (mentalmente) da un approccio biochimico, è biochimica la medicina “convenzionale”, è biochimica la nostra visione del mondo. Ma esiste anche un approccio biofisico che dobbiamo riconsiderare, il suono degli uccelli, come parte del tutto che è il bosco, ha sicuramente un’influenza sulle piante. Forse proprio una sorta di nutrimento, al pari della chimica dell’ambiente.
Allora usciamo, camminiamo per boschi e prati e lasciamoci ri-sintonizzare dai suoni della natura.